Il calcio come strumento di crescita, personale e collettiva, ma sopratutto come portatore di principi sani ed educazione. Questo libro ci porta fino in Asia, dove nascono e ancora oggi hanno base i principali network di scommesse illegali e i match fixer che, attraverso la loro solida rete di contatti, riescono a corrompere non solo calciatori, allenatori o arbitri, ma anche dirigenti dei club, personale di sicurezza negli stadi, membri delle federazioni e molti altri attori all’apparenza secondari. Uno dei pochissimi sbagliati, probabilmente il solo che abbia mai calciato sopra la traversa. A Mazzone va il merito di essere andato a riprendere il più talentuoso giocatore della nazione – che il calcio italiano aveva lasciato senza squadra, ad allenarsi da solo sul campetto di casa sua – per farlo risorgere più splendido che mai, con un gioco talmente intelligente da prescindere quasi dallo stato fisico. Dagli ottavi, era stato un giocatore dalla bravura irreale; le sue magie avevano dato concretezza alle astrazioni tattiche di Sacchi, portando in finale una Nazionale già pronta con le valige per Roma. Con Lippi lo scontro fu acerrimo, e Giovanni Trapattoni, che non ne apprezzò mai il gioco alla Juve perché diceva che non difendeva abbastanza, gli rifiutò nel 2002 la convocazione in Nazionale per i Mondiali di Korea (sarebbe stato il suo quarto mondiale), una convocazione che assumeva i contorni di una chiamata a furor di popolo.
I «PREMI» DEL QUIRINALE – Intanto anche il presidente Napolitano, che ha assistito dalla tribuna alla vittoria contro la Francia, premia gli azzurri conferendo a tutti, giocatori, allenatore e staff, onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica «in segno di riconoscimento dei valori sportivi e dello spirito nazionale che hanno animato, ieri a Berlino, la vittoria italiana al Campionato mondiale di calcio». Il primo allenatore che gli fu ostile fu Erikson, che lo riteneva immaturo, e lo volle dare in prestito; tra gli altri Capello, Sacchi, Ancellotti, Ulivieri lo esclusero dalla rosa dei titolari o addirittura non lo vollero in squadra. Cosa che gli altri non sono. Non bisogna confondere Totti con la Roma, sono entità separate”. In collaborazione con “ProgettoMondo Mlal”, sosteneva il programma triennale “Il mestiere di crescere”, il quale si prefiggeva l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita di ragazzi e ragazze di Perù, Bolivia e Colombia mediante l’ottimizzazione di un centro sportivo multidisciplinare nella periferia di Amauta, la creazione di servizi igienici e spogliatoi in posizione adiacente al campo, la ristrutturazione di locali di ritrovo e il sostegno di corsi di studio per ragazzi e educatori. Forza ragazzi! Mille cuori uniti…
Una semplicità unita però a una profonda consapevolezza: tutto è impermanenza, o anicca, secondo il termine sanscrito della tradizione buddhista; dunque nulla è reale, e la prima illusione è il nostro ego: l’Io non esiste, è vana fantasia di attaccamento: si tratta del principio dell’anatta, dell’irrealtà dell’Io. La grandezza di Roberto Baggio sta in una combinazione, quasi unica nella storia del calcio, tra una tecnica altissima e un’inventiva inaudita; il suo modo di giocare a pallone diventa così, non semplicemente un’esecuzione del gesto atletico finalizzato al goal, ma anzitutto una reinvenzione del gioco stesso attraverso forme, schemi, idee, gestualità, geometrie inconcepibili prima che lui li abbia compiuti. Così, una giocata di Baggio è ciò che confuta il grigiore del mondo con un tocco di genio inaspettato; è l’imprevisto stupendo. Ma tutto ciò non ha fatto che accrescere la leggenda di Roberto Baggio. Ma la sua storia, una delle più longeve del calcio italico, ci insegna che la partita più importante tutti noi la giochiamo contro noi stessi; e che la passione che abbiamo va seguita per essere sempre all’altezza di noi stessi, dando tutto ciò che possiamo.
La Joya conta di ritrovare lo smalto con cui ha iniziato la stagione, che ha preso una brutta piega (dal punto delle singole prestazioni di Dybala) con il rigore di Bergamo. Guardiola, Toni, Pirlo, suoi compagni nella cittadina lombarda, rimasero affascinati dal gioco e dall’umanità di Baggio. Ridimensionata la fase atletica, Baggio a Brescia ha raffinato e portato al parossismo la sua genialità tecnica, reinventando se stesso e il suo modo di giocare. E a questa immagine iconica e leggendaria corrisponde stridentemente un carattere umano che è intimamente connesso con il suo modo di giocare a pallone: cioè quella strana melanconia che fa di Baggio un un uomo mite e riservato, che nel lampo mistico dei suoi occhi chiari conserva ancora la semplicità delle campagne vicentine. Gaal ha ancora una voglia fortissima di rimanere lì in studio a parlare di calcio. Chi ha intuito questa verità non porterà mai i risvoltini ai pantaloni e non ballerà con le veline, perché sarà immerso nella compassione nei confronti di tutti gli esseri senzienti, e giocherà a calcio cercando di trascendere la sofferenza (dukkha) del cosmo. Se così tanto lo si è amato e tifato, in una nazione campanilistica come l’Italia, a prescindere dalla bandiera della società che vestiva e dai suoi successi, questo strano fenomeno sociologico va forse letto così: Baggio ha giocato anzitutto contro se stesso, senza cedere mai, lottando contro una serie di infortuni micidiali e sfortune di percorso che gli hanno letteralmente tagliato le gambe, più di una volta.